LA STORIA DEI RAGNI TESSITORI - testo a cura di Lilli Zanatta.
Sartre: “la presenza
dell’africano tra noi non sia quella di un bambino
in mezzo ad una famiglia, ma come il rimorso e la speranza insieme”: si
conclude così l’intervento fiume del prof. Burgio, che come ogni buon filosofo
si destreggia con maestria tra storia, i suoi intenti, le interpretazioni e gli
incidenti vari. Le sue parole fluiscono senza soluzione di continuità,
nell’aula nuova numero 2, in piazzetta Chiaramonte; siamo ad occhio e croce una
quarantina, cui si aggiungono proprio oggi i due colleghi di Pesaro, Capello
Incolto ed Occhi di Giada.
Sembra non lasciare nulla d’incompleto, il
professore. Esaustiva la sua narrazione sulla realtà coloniale, con pennellate
d’arte intercalantisi, fino al Rembrandt che ci sbatte in faccia il cambio di
paradigma sull’altro: il nero è diverso. Tutto prima sembrava in sintonia, ma
da quando si decide che l’azione capitalistica va legittimata ecco comparire la
differenza, la distanza, il distacco. ‘Ti annullo come umano’ diventa come
‘salto la lezione’, necessita di giustificazione. E da lì via, la Professoressa Europa sale in cattedra, firma il libretto per presa visione: quello che è civilizzato è nostro, e va
bene. Tutto il resto è altro, è fuori, è diverso e va annullato.
Perduto il
contatto con la natura diventi storia, tutto il resto è come il tavolino wengé e
la cassapanca di pelle: etnico. Ma siamo dalla parte giusta, ci rassicura il
filosofo.
La nostra reazione è composta, eppure il 'clic' che fa salire la temperatura del gruppo, ben percepibile oltre al calore del sole siciliano
di stamattina, è la domanda di Annamaria Fantauzzo: ma quanto è “meglio” un
mediatore etnico (o autoctono?) rispetto a quello italiano? Siamo tutti dentro,
in un nano secondo, alla bolla gigante delle nostre motivazioni, delle nostre
esperienze sul campo, delle nostre idee maturate ognuno per la sua
sperimentazione personale: distinguiamo tra mediatore linguistico e mediatore
culturale, ma c’è veramente bisogno di un distinguo? Chi conosce una lingua non
ne conosce forse le radici culturali? E quanto si sono saputi coinvolgere gli
etnici nella scrittura di questo pezzo di storia? Si sottraggono, perché? Le
parole cominciano a diventare più muri che significati, il termine specifico
comincia a creare divisione.
Flore, la nostra collega camerunense, lascia un silenzio incolmabile dopo la sua
considerazione; la sua mano destra punta il palmo della sua sinistra: “il
ri-conoscimento, è quello, è tutto lì, dopo anni e anni la mia pelle nera è
ancora nera, e non c’è niente che possa cambiare…”
Risuona come un balsamo riequilibratore il pensiero
del professore filosofo, che cito testualmente: “arrivando qui e mettendo in
discussione totalmente la loro identità ci mettono in condizione di discutere
la nostra. E’ impensabile fare tutto questo senza dei ragni tessitori…quelli
che in qualche modo creano un ponte”, tra due sponde spogliate.
Il coffee break (meraviglia di dolcetti al
burro innaffiati di succo d’arancia e aroma di caffè) dà tregua al gruppo, che
inizia tra un angolo e l’altro del meraviglioso piccolo borgo di Ragusa Ibla a
scambiare sguardi ancora un po’ interrogativi e segni di prima fratellanza.
Al nostro lento ritorno in aula ci aspetta la
dottoressa Camille Schmoll, dal viso luminoso mai quanto la sua carriera di
ricercatrice e le sue lunghe esperienze sul campo, a raccogliere dati. Si occupa
di migrazioni da anni ed anni e ci ridimensiona le informazioni mediatiche, se
mai ce ne fosse bisogno: non siamo invasi, anzi. Certo, sono cambiate le
modalità. Ci chiede attenzione e noi registriamo attenti:
la traiettoria della migrazione ha un tempo (con dei periodi di “fermo”)
la traiettoria della migrazione è individuale (autonomia del soggetto
migratorio)
la traiettoria della migrazione è criminalizzata
il migrante ha un capitale sociale che porta con sé ed alimenta una rete, pure
sociale.
Di tutto questo le politiche non tengono assolutamente conto.
Ci chiediamo
silenziosi il perché, ma mica abbiamo risposte!
Le storie della dottoressa Camille sono quelle delle donne. Le donne raccontano
pezzi di migrazione che gli uomini nascondono. Dall’ascolto delle loro storie
si ascoltano anche i sentimenti, le emozioni e le cicatrici indelebili del
corpo. Le storie delle donne costringono Camille, suo malgrado, a “prendere una
posizione” che, con dolcezza e amarezza, confessa, non fa cambiare niente di
fronte ai grandi della politica.
Il filo si annoda: anche le donne, da sempre, sono ragni tessitori, dotate di
invisibilità e forza solidale cercano a discapito di quasi tutto un futuro
migliore e ribaltano ancora gli sforzi mediatici: non sono di più o di meno di
molti anni fa, e sono comunque molte. La loro mission migratoria ha aspetti che
la politica, di nuovo, sembra non riconoscere.
Il pomeriggio è intriso di triste, palese
realtà.
Luca Pianese, avvocato dell’OIM, non va oltre la sua seconda frase per
dire ciò che accade: tutte le donne che chiedono asilo in Italia hanno subito violenza.
Non ci sono commenti.
Eppure a me è chiaro nei volti: tutte noi donne abbiamo
sentito quel qualcosa;
pizzica il ventre ed anche un po’ più giù.
E’ un male
dentro, che la nostra condizione di privilegiate non ci fa sentire meno forte.
Noi sappiamo, dentro. E, poiché donne, naturalmente “conteniamo”.
L’argomento
delle vittime di tratta nigeriane è ancora una volta una sensazione di
impotenza: “ce lo dicono, ma non sempre possiamo proteggerle, noi le
informiamo”. I centri di massima protezione sono occupatissimi, la reclusione
preventiva è impossibile, il destino inesorabile fa la sua cinica comparsa ed
il fenomeno dilaga. Un numero destinato a crescere, una fonte di reddito dalle
cifre impensabili, un’infanzia rubata tra riti juju e mercanti del sesso.
Sembra strano, ma anche queste bambine sono ragni tessitori, vogliono tessere
il loro miglior futuro tra rami secchi di alberi già abbattuti, come la loro
dignità.
Ancora incalza la dottoressa Fantauzzi, che tra le mura roventi del cortiletto
conclama: "sì, io ho capito, tutto sappiamo dei loro sbarchi, dei dati, dei
centri. Sì, ma: e dopo?" Cosa succede a queste creature dopo l’accoglienza?
Rimane senza risposta.
Come il nostro male dentro, di nuovo.
Noi donne non abbiamo niente da dire di
fronte ad un corpo infibulato. Sì, un corpo. Perché non è solo una parte
anatomica, quelli ti chiudono tutto, chiuso l’accesso al diritto di sentirti
donna, chiuso l’argomento, chiusa la bocca che non può più raccontare. In nome
della miglior preparazione, del degno igiene, della necessaria purezza. Penso
che fa male abbastanza essere donne così, eppure loro, senza sosta, sono ragni
tessitori: vanno verso il domani donando vita, partorendo il dolore e
concedendosi a richiesta. Tessono ragnatele senza sapere dei sentimenti,
tessono fili per imparare ad amare di nuovo.
Ci vuole un momento di uscita, da tutto
questo peso.
Ci rechiamo a visitare il progetto pilota di Domenico Leggio, presidente di Caritas
Ragusa e uomo di chiaro valore, il progetto Costruire Saperi: un recupero
formidabile in mezzo alla silenziosa campagna ragusana. Il sogno di Domenico è
di creare qualcosa di ripetibile, un modello di avvio al lavoro, dove
all’ attenta formazione segue l'auspicabile cambio di mentalità per condurre gli immigrati
a ritrovare il loro input creativo e autonomo, dall’assistenza
all’intraprendenza, da immigrato a imprenditore, direttamente sul campo:
sperimento, mi piace, ci vado!! I suoi occhi sono radiosi di soddisfazione nel
vedere realizzati molti tra i propositi di due anni fa: eccezionali le donne
che lavorano i campi, sorprendenti il saldatore già assunto ed il contadino
marocchino in aiuto al vicino, ognuno qui ha trovato il modo di crescere. Non
ce ne vogliamo andare, Domenico sì che sa costruire! Il ragno tesse ancora.
Tra un sacchetto di ocra ed il profumo di zafferano il collega di Cremona
assaggia l’ortaggio più piccante e riserva a tutti i nostri volti stanchi un
“Ciao, vuoi assaggiare?”. Diniego. Doppio diniego. Peperoncino al CIE. E si
ricomincia da lui, l’Haba-nero clandestino.
Dal mio punto di
vista.